Seascape & Seaside
Il mare di Taranto. Da paesaggio a spazio sociale.
"Ma mi avevano detto che tu sei un poeta simbolista, appassionato di simboli.
Per questo ho pensato che il tuo mare fosse un altro mare da quello che conosciamo noi, dal nostro mare.
No fratello, ti hanno ingannato! Il mio mare è il tuo mare.
Noi apparteniamo ad un unico mare, andiamo verso un unico mare. Il mare è il mare.”
(Mahmoud Darwish)
Il mare muta in paesaggio solo quando sfiora la costa, la vita e i simboli della civiltà umana, poiché è solo lo sguardo degli uomini a fare della "natura" un paesaggio e quindi un oggetto con cui entrare in relazione da un punto di vista logico ed emotivo; se non c’è qualcosa di umano, la percezione dei luoghi è panorama, il paesaggio non può chiamarsi tale, non esiste.
Taranto, per esistere e dare misura di sé, ha dovuto separare un mare e farne due. Uno esterno, grande, che funge da connessione col mondo, e uno più interno, domestico, con lo scopo di proteggere e accudire gli uomini e il loro ingegno. Taranto per creare se stessa e vincere la dimenticanza del tempo ha dovuto creare due mari, due paesaggi, due narrazioni urbane. La città che è stata fortezza e bordello, molle e resistente, decrepita e contemporanea, pare condannata a navigare in eterno come l’Olandese Volante, fantasma che solca il mare e ne divide le acque al passaggio, eppure immobile tra le onde del tempo.